L’Oscar ad "Hurt Locker"/La critica italiana sorpresa dal successo della Bigelow

Hollywood premia la missione dell’America

Buona parte della critica italiana si aspettava un trionfo nell’assegnazione degli oscar per il film "Avatar", secondo una consumata tradizione di spettacolarità e di ottimi incassi che un regista come James Cameron sa interpretare magnificamente. Cameron, ben prima del suo "Titanic", ha saputo ottenere i dovuti successi nel settore. Quando è iniziata invece a trapelare la voce che il trascurato e da noi misconosciuto "Hurt Locker" della Bigelow potesse ottenere il glorioso riconoscimento, i nostri illustri critici si sono trovati a dover gestire un certo imbarazzo, anche perché a malapena avevano visto il film. Poi è accaduto l’inimmaginabile, si sono ordinate le idee e si è scritto di "insperato trionfo". O si è cercato di spiegare che, forse, per una volta, "l’America ha ormai metabolizzato la guerra".

Perché altrimenti non si riesce proprio a capire come un film realizzato con un budget striminzito, su 40 giorni al fronte di una squadra di artificieri e sminatori dell’esercito statunitense in Iraq, potesse vincere l’oscar in un Paese stremato dai reportage dall’Iraq e dall’Afganistan, e propenso a disertare oramai ogni film di guerra.

Paolo Mereghetti, che è critico smaliziato, ha spiegato invece il successo come se fosse dovuto alle capacità tecniche mostrate dalla Bigelow: "un montaggio davvero magistrale", e altre magie "che fanno la forza di ‘The Hurt Locker’". Per poi confessare le sue perplessità "di fronte a una lettura della guerra come palestra di violenza che rischia di dare assuefazione (o peggio dipendenza) senza che la regista cerchi mai di illuminare questo tema con un autentico sguardo morale". Forse siamo arrivati al punto, anche perché, al contrario di Mereghetti, siamo inclini a ritenere che lo sguardo morale ci sia, eccome. Semmai Mereghetti e altri come lui nemmeno lo comprendono.

Il protagonista del film, l’artificiere, il sergente dei marines Will James che si mette una tuta d’amianto e disinnesca le bombe disseminate in giro per Baghdad è figura altamente morale, come forse il cinema americano non era più capace di trovare nella sua storia. Quando ritorna dalla moglie e dal figlio nel turno di rotazione dal fronte della compagnia "Bravo", il sergente Will James dice che "laggiù hanno bisogno di più artificieri" e ne hanno bisogno per salvare vite umane. E’ il senso morale che spinge il sergente James ben al di là dei suoi compiti, quando teme che il venditore adolescente di dvd nel campo militare statunitense sia stato ridotto ad uomo bomba e si introduce incautamente nella Baghdad notturna per cercare i responsabili. O quando, senza riuscirci, si espone all’esplosione per disinnescare le bombe incatenate ad un cittadino iracheno costretto contro la sua volontà. Questo quando i suoi compagni l’avevano invitato a sparargli per non rischiare inutilmente. James invece espone la sua vita per salvarlo. "Assuefazione alla guerra", scrive Mereghetti. A noi sembra piuttosto il riscatto della guerra e la missione morale degli Stati Uniti.

Il protagonista di "Hurt Locker" non è il capitano delle squadre speciali di "Apocalipse Now", interpretato da Martin Sheen, che si ubriaca fino all’incoscienza se non ha una missione, quale che sia, dove rischiare la pelle. La missione di James è definita ed è di routine, quale quella di cercare di rendere una città come Bagdhad, dove vivono milioni di civili, sicura.

Non c’è dubbio che ci sia una passione per la sua specialità, il tasso adrenalinico che gli procura appare sicuramente più stimolante del fare la spesa con la famigliola al supermercato e di riparare il tetto della sua casetta. Questo poi è un tema ricorrente del cinema americano. Pensiamo a "The Wrestler", Leone d’oro a Venezia due anni fa. "Voglio solo combattere", diceva un Mikey Rurke oramai bolso e malato, ma sempre pronto a salire sul ring piuttosto che vendere insalata di patate. Ma non c’è nessuna esaltazione della guerra da parte del sergente James. La guerra è vista semplicemente come il proprio dovere e James appare convinto che compiere il proprio dovere sia cosa utile.

Vedendo il film della Bigelow non scriveremmo allora che l’America ha metabolizzato la guerra, ma che l’America si riconosce nella sua missione e che intende condurla fino in fondo a qualunque costo. Quello è il ruolo che quella nazione ha scelto di giocare nella storia. Non potrà rinunciarvi. Il sergente James incarna lo spirito di un grande Paese che si compiace, per una volta, invece di detestarsi, nella rappresentazione cinematografica di se stesso e del suo eroismo. Ancora non lo si capisce.

(r. b.)